A volte gli uomini adulti entrano in quel cono di luce, sfuggente come il chiarore dell'alba, in cui sembra che il futuro sia ancora tutto da costruire. Come se si fosse ancora molto giovani ed inesperti. Poi, basta un dettaglio per rendersi conto che la strada percorsa è stata comunque lunga, per quanto costellata di ostacoli, di retromarce, di deviazioni e di soste più o meno lunghe.
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Come ieri sera, ad esempio. Quando, inaspettatamente, mi sono imbattuto in alcuni appunti che avevo preso su Benjamin Orr. Benjamin Orr è stato il bassista (e spesso anche cantante) dei Cars. I Cars sono stati uno dei gruppi della mia adolescenza e poi della mia maturità. Fino ad oggi, senza alcun segnale di cedimento. Le loro canzoni ossute, intessute di elettronica in effetti primordiale, con il frontman Ric Ocasek a ricoprire l'improbabile ruolo di troubadour per metà affine a Lou Reed e per l'altra giullare pop, hanno accompagnato molti anni e molti eventi della mia vita. Benjamin Orr, poi, come sempre, aveva catalizzato la mia attenzione in quanto bassista. Era bravo, Orr. Non tante note, ma giuste e nel posto giusto. Che è cosa rara, in un epoca, quella dei Cars, che offriva tonnellate di bassisti bulimici ed esibizionisti, devoti al verbo dei vari Jaco, Stanley Clarke e Jeff Berlin, tanto per citare una triade di sovrani assoluti. |
Benjamin Orzechowski, questo il suo vero nome, è stato uno di quei musicisti dei quali si è parlato davvero troppo poco. Come capita -troppo spesso- ai bassisti, soprattutto se facenti parte di band che arrivano al pubblico ed ai fruitori di musica come formazioni ossidate nel nome e nel logo, oppure forgiate e modellate sulle fisionomie di chitarristi e cantanti.
Orr, che purtoppo è morto nel 2000 a soli 53 anni di cancro al pancreas, è stato un musicista importante per la mia formazione. Le sue linee di basso martellanti ma sobrie, soprattutto sul secondo e terzo album dei Cars (Candy-O e Panorama) mi hanno insegnato che si possono creare degli ibridi niente male con il basso, saltellando prosodicamente da stilemi marcatamente pop ad imprevedibili sbavature new wave e, nel caso di Orr, quasi punk. |
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DA SINISTRA VERSO DESTRA: PETER ROBINSON, BEN ORR, RICK OCASECK, ELLIOTT EASTON, GREG HAWKES |
Il buon Benjamin faceva un po' da trait d'union tra l'immagine da nerd del tastierista Greg Hawkes, quella più marcatamente rock del chitarrista Elliot Easton e del batterista David Robinson e la figura centrale costituita dal lunare Ocasek. Infatti, che Orr suonasse il basso -oltre a cantare svariate ballate e brani complessi- sembrava un dato non fondamentale o comunque acquisito. Era parte della pietra Cars, quello biondo, ecco. Ma il basso?
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Benjamin Orzechowski, insomma, come molti altri suoi illustri colleghi appariva più come “una parte di” che un bassista con la sua precisa identità all'interno di una band. Ci sono svariati casi di “ingiustizia comunicativa” circa il ruolo del bassista in gruppi rock e pop. Eppure, come sempre sostenuto, è difficile immaginare alcune fondamentali band -non le famosissime, intendiamoci, su quelle si continuano a scrivere fiumi e fiumi di concetti spesso reiterati- senza quel preciso bassista. I Cars senza Orr, appunto.
Ieri sera ho preso qualche appunto, basato principalmente sulla memoria e su quanto alcuni di questi bassisti ombra mi risultino fondamentali nell'economia delle band di appartenenza.
Ieri sera ho preso qualche appunto, basato principalmente sulla memoria e su quanto alcuni di questi bassisti ombra mi risultino fondamentali nell'economia delle band di appartenenza.
Ed è così che ho ricordato Tony Butler dei Big Country, Jerry Casale dei Devo (che continuano a passare per un gruppo di pazzoidi elettrofili ma che il rock lo masticavano eccome), Les Pattinson di Echo&The Bunnymen (linee solide, wave, insinuanti), Barry Adamson dei Magazine, oscurato puntualmente dalle figure iconiche di Howard Devoto e Dave Formula ma bassista post punk fondamentale, come Dave Allen dei Gang Of Four.
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Ma nella “sindrome di Orr” possiamo annoverare anche Bruce Foxton dei Jam, davvero un musicista ottimo ma subissato dall'aura sconfinata del grande Paul Weller, Chris Cross degli Ultravox (confinato a seconda o terza controfigura di John Foxx), Tim Butler dei Psychedelic Furs, ricordato più che altro per essere il fratello del frontman. Un altro caso irrisolto è quello di Fred Smith dei Television, schiacciato dalla personalità artistica e multiforme di Tom Verlaine; sorte similare è toccata al bravissimo Kasim Sulton, secondo bassista chiave (dopo John Siegler) dell'imprevedibile epopea di quel geniaccio incatalogabile che è Todd Rundgren.
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Il fatto è che se si comincia non si finisce più. Io mi sono fermato ad altri nomi che mi sono venuti spontaneamente in mente nel corso della notte (questi sono i tanti pregi della tendenza all'insonnia): Bruce Moreland (Wall Of Voodoo), Tony Maimone (Pere Ubu), Nigel Griggs (Split Enz) ed Ewen Vernal dei Deacon Blue, un gruppo che avrebbe meritato tutt'altre attenzioni e che invece è rimasto in quella nicchia di pop spirituale e raffinatissimo ricordato raramente (insieme ad altri esteti imperdibili come Aztec Camera, Danny Wilson, Blue Nile e tutte le discendenze alla Prefab Sprout del caso).
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Tom Verlaine (Television) Todd Rundgren |
The Blue Nile |
Aztec Camera Questa carrellata non è strumentale e non vuole essere uno sterile esercizio mnemonico di gratitudine da parte di un over 40. Questa carrellata spiega meglio di un teorema quanto affermo circa la sbrigativa tendenza a trattare la materia rock e pop in modo iconico, paradigmatico e malamente indottrinato verso la luce dei riflettori. Tutti i musicisti citati, Orr in testa, sono stati a tutti gli effetti motori insostituibili delle band di provenienza e di lungo corso, cesellatori, stuccatori, architetti, ingegneri e persino paracadutisti del suono.
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La voce ed il basso di Benjamin Orr sono stati il giusto contraltare alle filiformi inquietudini di Ric Ocasek, un personaggio fantastico che è riuscito a transitare agevolemente in due condizioni spesso contrapposte, come quella di rockstar e l'altra di manager, produttore e talent scout. Ma Orr non era il vice di Ocasek. Era Benjamin Orr, un musicista, uno dei tanti, che ha lasciato orfani tanto i fan dei Cars (numerosissimi) che noi esploratori di basse frequenze, sempre pronti a spostare il largo ed ostruente drappo che permette quasi esclusivamente di vedere in piena luce cantanti e chitarristi delle band che hanno formato il nostro gusto, il nostro carattere, la nostra emotività ed i nostri ricordi. Ma i bassisti, quelli giusti, quelli insostituibili, sono lì, ai lati delle tende, delle bandiere, ben piantati per terra. Con le loro connotazioni personali, le loro storie che sono quasi sempre differenti e con un punto di vista interessante ed obliquo.
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