Il 20 maggio è morto Randy Coven.
È stato uno dei bassisti che ho amato di più, soprattutto perché ho avuto modo di conoscere la sua musica proprio nel periodo in cui ero in piena scoperta del basso elettrico e dei suoi interpreti.
Il suo primo album solista, “Funk me tender”, uscì nel 1989, ma io scoprii Randy a casa di un amico chitarrista, due anni dopo. Mi incuriosii la strana copertina gialla, che raffigurava un capellone con il basso a tracolla. Si trattava di “Sammy says ouch!”, il secondo full-length di Randy, datato 1990. Riccardo ed io lo ascoltammo insieme, lui aveva il cd per via delle collaborazioni del bassista con Steve Vai, uno dei guitar heroes che amava di più. Durante l’ascolto rimasi impressionato. Si trattava di un bassista speciale, che univa una tecnica notevolissima, perfettamente bilanciata tra rock e fusion, ad un approccio parecchio metal, cosa questa che lo spinse negli anni successivi ad incidere con gli Ark, gli Holy Mother ed Alex Masi, tra gli altri.
Gli assolo brucianti, misto di svisate slap funky e più tradizionali prove di velocità, mi convinsero a trattare con Riccardo la vendita del cd. All’epoca non era tanto semplice ordinare un disco, non si acquistava on line e anche i negozi faticavano a procurare roba d’importazione o troppo settaria (è ancora così, vanno in panico quando non conoscono). Non ricordo cosa gli offrii, probabile un tre contro uno, ma volevo quel disco. E riuscii ad accaparrarmelo. Mi piacevano i bassisti metal che riuscivano ad emergere, in quegli anni il death metal tecnico e molto bassistico che si sarebbe sviluppato poi era solo un’utopia inimmaginabile.
I dischi di Randy Coven, come da prassi, vennero bollati dai puristi e dai jazzofili ortodossi come “dimostrativi” e “cafoni”, considerato l’alto numero di showdown bassistici presenti. Non diedi ascolto ai Soloni del caso e tirai avanti dritto per la mia strada, che fu costellata da altri super-bassisti dal gusto non sempre raffinatissimo, ma di una potenza incontestabile, baciati da una tecnica ai limiti dell’incredibile.
Del resto, era il periodo del boom di Billy Sheehan e di Stu Hamm. Randy Coven entrò di prepotenza ad affiancarsi a questi due mostri.
Randy, almeno dal punto di vista della carriera solista, non ha probabilmente mantenuto tutte le promesse. I primi due dischi bomba non sono stati seguiti da altri episodi così felici, almeno sotto il piano commerciale; un disco a nome CPR con Al Pitrelli e John O. Reilly, il sottovalutato “Witch Way”, un discreto numero di collaborazioni. Se si pensa a quanti dischi di basso smooth jazz e fusion scolorita ancora escono oggi, fa rabbia.
Randy Coven, morte di un musicista non commerciale. Questo spiega tutto. La notizia è passata praticamente inosservata. Si è dato uno spazio osceno alle escandescenze di Grignani e alla nuova villa di Sting, la morte di un bassista rock che non ha elementi per commuovere i finti sensibili non funziona e dunque zut, niente.
Del resto, ricordo che persino la scomparsa di Mick Karn, lo straordinario bassista dei Japan, fu liquidata con quattro righe di circostanza; e si trattava di un musicista che aveva praticamente reinventato l’inserimento del basso fretless nel pop, nel rock ambient sintetico e in altri contesti eterogenei.
Mi piace ricordare Randy Coven come uno di quelli che negli anni novanta ha nobilitato il basso elettrico nell’hard rock e nel metal strumentale, reagendo alla stucchevole dittatura dei chitarristi; lui, insieme ai già citati Billy Sheehan e Stu Hamm, e con T. M. Stevens, Tony Franklin, Juan Alderete, Chuck Wright, ha spianato la strada.
Ha lasciato un’eredità ben raccolta nelle mani di bassisti favolosi come Steve DiGiorgio, Barry Sparks, Bryan Beller, Barend Courbois, Mick Cervino, Evan Brewer, Joe Lester, Dan Briggs, Dominic "Forest" Lapointe, Patrice Guers, Mike Lepond, Rob van der Loo, Jeroen Paul Thesseling, Troy Tipton, Jason Netherton e tantissimi altri. Rispetto dunque per un musicista solo apparentemente di seconda fascia; non si trattava certo di un comprimario, ma ha avuto il buon senso di non intasare il mercato di dischi inutili, all’insegna di un virtuosismo sterile, brutto vizio di tanti chitarristi metal e bassisti fusion.
I primi due dischi solisti sono pietre miliari del genere, che occorrerebbe riscoprire con uno spirito curioso e con l’ammirazione che si deve a chi è stato tra i primi a lanciare il sasso nello stagno.
Anni fa scrissi una breve mail a Randy, sono solito contattare i musicisti che stimo. Mi rispose con due righe gentili e un po’ imbarazzate, non è stato uno di quelli con i quali ho legato fino a corrispondere attivamente, ma è rimasto sempre uno dei Re, per me.
Questo mio piccolo omaggio non ripara certo all’indifferenza diffusa del giornalismo musicale, che soprattutto qui in Italia paga dazio ad uno snobismo stratificato e anche sprezzante, che rifiuta sistematicamente tutto quello che puzza di non straordinaria creatività. Oggi, più di sempre, una sgraziata cantastorie americana senza denti davanti, che ossessiona con nenie depressive e non sa nemmeno suonare la chitarra acustica, fa molta più notizia della morte di Randy Coven a soli 54 anni. Siamo arrivati al paradosso che è più probabile una nota agiografica e revisionista su qualche pop star con parrucchino che un’onesta retrospettiva su un magnifico strumentista.
Ma, del resto, per molti il metal resta un genere adolescenziale, tutto sommato trascurabile, troppo spesso uguale a se stesso, e ancor di più il basso metal è uno sconosciuto, alla faccia di Steve Harris e compagnia. Per ancora troppe persone il metal è teschi, sventramenti in copertina, crocifissi rovesciati, capelli sudati che roteano, cretini che si spingono ai concerti fino a stramazzare. Ho sempre detto che il metal non è questo. Può capitare, anche, che io ascolti un disco dei Cannibal Corpse o dei Xerath senza muovere un solo muscolo, alla mia postazione di scrittura. Se mi tiro tutto un disco dei Coroner o dei Celtic Frost, è chiaro che non mi conviene sbattermi come un adolescente ma cercare di capire cosa stanno facendo.
A questo proposito, mi ha colpito molto negativamente, su un noto magazine musicale italiano, la spocchia del recensore di non so quale disco, che si vantava per l'occasione di non conoscere una sola nota degli AC/DC. Non mi sembra certo un motivo di vanto. Negli anni ottanta c'erano i paninari che infestavano la scena, oggi le cose non vanno meglio, se certi plastificati teosofi con la fissa del "diverso difficile" e dell'alternativo ancora si sollazzano a sparare giudizi dal basso della loro ignoranza arrogante.
Io sono fiero di essere cresciuto con i bassisti metal e hard rock, che hanno imparato molto bene ad essere riconoscibili nel fragore e nel caos del movimento e ad incidere in modo decisivo sull’evoluzione del genere, che sia brutal, tech death, trash, extreme fusion, shred e altre definizioni sfuggenti come anguille.
Oggi, forse più di ieri, è un’emozione straniante e particolare ritrovarsi un assolo di basso a metà o in coda ad un brano hard rock, riconoscere un arpeggio inatteso in una pausa non prevista, ma anche rendersi conto che senza l’immenso edificio del basso elettrico tutto il contesto aggressivo e incedente del metallo non avrebbe ragione di esistere.
Pensiamo a che miracolo sia, oggi, poter contare su realtà come Abnormal Thought Patterns, Intronaut, The Faceless e su che evoluzione sia stata incocciare in Pavor, i Borknagar con Tiwaz, gli Obscura con Jeroen Paul Thesseling e Linus Klausenitzer, i Death (e i Sadus) con Steve DiGiorgio, eccetera. Il basso metal esiste e pulsa, checché se ne dica in giro.
Cuore di bassista, testa di bassista, anima a quattro corde, rendo omaggio al fratello Randy Coven, rispetto e pace per te, e spero maggiore intelligenza e sensibilità per chi crede di intendersi di musica.
Luca De Pasquale, 28 luglio 2014
RANDY COVEN DISCOGRAFIA CONSIGLIATA:
SOLO ALBUMS:
FUNK ME TENDER (1989)
SAMMY SAYS OUCH! (1990)
COVEN/PITRELLI/O’REILLY – CPR
WITCH WAY
THE BEST OF RANDY COVEN
COLLABORAZIONI:
VITALIJ KUPRIJ – REVENGE
ARK – BURN THE SUN
HOLY MOTHER – TOXIC RAIN
JACK STARR – A MINOR DISTURBANCE
ORPHEUS - ORPHEUS II (INCISIONI PRE "FUNK ME TENDER")
BLUES SARACENO - NEVER LOOK BACK
LESLIE WEST - DODGIN' THE DIRT
MCM - RITUAL FACTORY (CON ALEX MASI E JOHN MACALUSO)
STEVE VAI - FLEXABLE LEFTOVERS
È stato uno dei bassisti che ho amato di più, soprattutto perché ho avuto modo di conoscere la sua musica proprio nel periodo in cui ero in piena scoperta del basso elettrico e dei suoi interpreti.
Il suo primo album solista, “Funk me tender”, uscì nel 1989, ma io scoprii Randy a casa di un amico chitarrista, due anni dopo. Mi incuriosii la strana copertina gialla, che raffigurava un capellone con il basso a tracolla. Si trattava di “Sammy says ouch!”, il secondo full-length di Randy, datato 1990. Riccardo ed io lo ascoltammo insieme, lui aveva il cd per via delle collaborazioni del bassista con Steve Vai, uno dei guitar heroes che amava di più. Durante l’ascolto rimasi impressionato. Si trattava di un bassista speciale, che univa una tecnica notevolissima, perfettamente bilanciata tra rock e fusion, ad un approccio parecchio metal, cosa questa che lo spinse negli anni successivi ad incidere con gli Ark, gli Holy Mother ed Alex Masi, tra gli altri.
Gli assolo brucianti, misto di svisate slap funky e più tradizionali prove di velocità, mi convinsero a trattare con Riccardo la vendita del cd. All’epoca non era tanto semplice ordinare un disco, non si acquistava on line e anche i negozi faticavano a procurare roba d’importazione o troppo settaria (è ancora così, vanno in panico quando non conoscono). Non ricordo cosa gli offrii, probabile un tre contro uno, ma volevo quel disco. E riuscii ad accaparrarmelo. Mi piacevano i bassisti metal che riuscivano ad emergere, in quegli anni il death metal tecnico e molto bassistico che si sarebbe sviluppato poi era solo un’utopia inimmaginabile.
I dischi di Randy Coven, come da prassi, vennero bollati dai puristi e dai jazzofili ortodossi come “dimostrativi” e “cafoni”, considerato l’alto numero di showdown bassistici presenti. Non diedi ascolto ai Soloni del caso e tirai avanti dritto per la mia strada, che fu costellata da altri super-bassisti dal gusto non sempre raffinatissimo, ma di una potenza incontestabile, baciati da una tecnica ai limiti dell’incredibile.
Del resto, era il periodo del boom di Billy Sheehan e di Stu Hamm. Randy Coven entrò di prepotenza ad affiancarsi a questi due mostri.
Randy, almeno dal punto di vista della carriera solista, non ha probabilmente mantenuto tutte le promesse. I primi due dischi bomba non sono stati seguiti da altri episodi così felici, almeno sotto il piano commerciale; un disco a nome CPR con Al Pitrelli e John O. Reilly, il sottovalutato “Witch Way”, un discreto numero di collaborazioni. Se si pensa a quanti dischi di basso smooth jazz e fusion scolorita ancora escono oggi, fa rabbia.
Randy Coven, morte di un musicista non commerciale. Questo spiega tutto. La notizia è passata praticamente inosservata. Si è dato uno spazio osceno alle escandescenze di Grignani e alla nuova villa di Sting, la morte di un bassista rock che non ha elementi per commuovere i finti sensibili non funziona e dunque zut, niente.
Del resto, ricordo che persino la scomparsa di Mick Karn, lo straordinario bassista dei Japan, fu liquidata con quattro righe di circostanza; e si trattava di un musicista che aveva praticamente reinventato l’inserimento del basso fretless nel pop, nel rock ambient sintetico e in altri contesti eterogenei.
Mi piace ricordare Randy Coven come uno di quelli che negli anni novanta ha nobilitato il basso elettrico nell’hard rock e nel metal strumentale, reagendo alla stucchevole dittatura dei chitarristi; lui, insieme ai già citati Billy Sheehan e Stu Hamm, e con T. M. Stevens, Tony Franklin, Juan Alderete, Chuck Wright, ha spianato la strada.
Ha lasciato un’eredità ben raccolta nelle mani di bassisti favolosi come Steve DiGiorgio, Barry Sparks, Bryan Beller, Barend Courbois, Mick Cervino, Evan Brewer, Joe Lester, Dan Briggs, Dominic "Forest" Lapointe, Patrice Guers, Mike Lepond, Rob van der Loo, Jeroen Paul Thesseling, Troy Tipton, Jason Netherton e tantissimi altri. Rispetto dunque per un musicista solo apparentemente di seconda fascia; non si trattava certo di un comprimario, ma ha avuto il buon senso di non intasare il mercato di dischi inutili, all’insegna di un virtuosismo sterile, brutto vizio di tanti chitarristi metal e bassisti fusion.
I primi due dischi solisti sono pietre miliari del genere, che occorrerebbe riscoprire con uno spirito curioso e con l’ammirazione che si deve a chi è stato tra i primi a lanciare il sasso nello stagno.
Anni fa scrissi una breve mail a Randy, sono solito contattare i musicisti che stimo. Mi rispose con due righe gentili e un po’ imbarazzate, non è stato uno di quelli con i quali ho legato fino a corrispondere attivamente, ma è rimasto sempre uno dei Re, per me.
Questo mio piccolo omaggio non ripara certo all’indifferenza diffusa del giornalismo musicale, che soprattutto qui in Italia paga dazio ad uno snobismo stratificato e anche sprezzante, che rifiuta sistematicamente tutto quello che puzza di non straordinaria creatività. Oggi, più di sempre, una sgraziata cantastorie americana senza denti davanti, che ossessiona con nenie depressive e non sa nemmeno suonare la chitarra acustica, fa molta più notizia della morte di Randy Coven a soli 54 anni. Siamo arrivati al paradosso che è più probabile una nota agiografica e revisionista su qualche pop star con parrucchino che un’onesta retrospettiva su un magnifico strumentista.
Ma, del resto, per molti il metal resta un genere adolescenziale, tutto sommato trascurabile, troppo spesso uguale a se stesso, e ancor di più il basso metal è uno sconosciuto, alla faccia di Steve Harris e compagnia. Per ancora troppe persone il metal è teschi, sventramenti in copertina, crocifissi rovesciati, capelli sudati che roteano, cretini che si spingono ai concerti fino a stramazzare. Ho sempre detto che il metal non è questo. Può capitare, anche, che io ascolti un disco dei Cannibal Corpse o dei Xerath senza muovere un solo muscolo, alla mia postazione di scrittura. Se mi tiro tutto un disco dei Coroner o dei Celtic Frost, è chiaro che non mi conviene sbattermi come un adolescente ma cercare di capire cosa stanno facendo.
A questo proposito, mi ha colpito molto negativamente, su un noto magazine musicale italiano, la spocchia del recensore di non so quale disco, che si vantava per l'occasione di non conoscere una sola nota degli AC/DC. Non mi sembra certo un motivo di vanto. Negli anni ottanta c'erano i paninari che infestavano la scena, oggi le cose non vanno meglio, se certi plastificati teosofi con la fissa del "diverso difficile" e dell'alternativo ancora si sollazzano a sparare giudizi dal basso della loro ignoranza arrogante.
Io sono fiero di essere cresciuto con i bassisti metal e hard rock, che hanno imparato molto bene ad essere riconoscibili nel fragore e nel caos del movimento e ad incidere in modo decisivo sull’evoluzione del genere, che sia brutal, tech death, trash, extreme fusion, shred e altre definizioni sfuggenti come anguille.
Oggi, forse più di ieri, è un’emozione straniante e particolare ritrovarsi un assolo di basso a metà o in coda ad un brano hard rock, riconoscere un arpeggio inatteso in una pausa non prevista, ma anche rendersi conto che senza l’immenso edificio del basso elettrico tutto il contesto aggressivo e incedente del metallo non avrebbe ragione di esistere.
Pensiamo a che miracolo sia, oggi, poter contare su realtà come Abnormal Thought Patterns, Intronaut, The Faceless e su che evoluzione sia stata incocciare in Pavor, i Borknagar con Tiwaz, gli Obscura con Jeroen Paul Thesseling e Linus Klausenitzer, i Death (e i Sadus) con Steve DiGiorgio, eccetera. Il basso metal esiste e pulsa, checché se ne dica in giro.
Cuore di bassista, testa di bassista, anima a quattro corde, rendo omaggio al fratello Randy Coven, rispetto e pace per te, e spero maggiore intelligenza e sensibilità per chi crede di intendersi di musica.
Luca De Pasquale, 28 luglio 2014
RANDY COVEN DISCOGRAFIA CONSIGLIATA:
SOLO ALBUMS:
FUNK ME TENDER (1989)
SAMMY SAYS OUCH! (1990)
COVEN/PITRELLI/O’REILLY – CPR
WITCH WAY
THE BEST OF RANDY COVEN
COLLABORAZIONI:
VITALIJ KUPRIJ – REVENGE
ARK – BURN THE SUN
HOLY MOTHER – TOXIC RAIN
JACK STARR – A MINOR DISTURBANCE
ORPHEUS - ORPHEUS II (INCISIONI PRE "FUNK ME TENDER")
BLUES SARACENO - NEVER LOOK BACK
LESLIE WEST - DODGIN' THE DIRT
MCM - RITUAL FACTORY (CON ALEX MASI E JOHN MACALUSO)
STEVE VAI - FLEXABLE LEFTOVERS
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