“Guarda che in Italia c'è gente che suona alla grande, che suona veramente bene!”
Stefano Cerri
L'Italia è un paese strano. Spesso, troppo spesso. Siamo abituati ad esercitarci nel cordoglio collettivo per figure pubbliche (sovente meritorie, come nel caso di Umberto Eco, ma non sempre), siamo quasi allenati professionalmente alla platealità, ma riusciamo con altrettanta facilità a dimenticare o trascurare i nostri figli migliori.
Questo prologo non sarebbe comunque fedele alla figura del musicista Stefano Cerri, che per fortuna non è stato dimenticato. Ma Stefano, come molti altri validissimi musicisti, ha sempre fatto parte di quella cerchia involontaria composta dai “musicisti amati dai musicisti”.
Figlio del grande chitarrista jazz Franco Cerri (un'istituzione in Italia), classe 1952, Stefano Cerri iniziò come chitarrista, aiutato nei primi rudimenti dal celebre padre. Ma, in tempi piuttosto brevi e piuttosto a sorpresa, scelse poi il basso elettrico; strumento al quale si avvicinò con una tecnica chitarristica e da autodidatta. Diventato in pochi anni un bassista di tecnica impressionante, Stefano Cerri ha avuto una carriera troppo breve -come la sua vita- ma piena di tracce sostanziali, corpose e, appunto, da non dimenticare. Era un musicista che non disdegnava alcune strizzate d'occhio (ma di altissima classe, mai becere) alla fusion, ed al contempo transitava con leggiadria nel pop e amava il jazz.
La sua tecnica sullo strumento, come ebbe a dire una volta, era praticamente mista: pensiamo ad uno Steve Swallow con tracce di Pastorius, pensiamo ad un misto “sonico” tra un ex chitarrista, un bassista delicato ma denso e uno avvezzo anche al suono del contrabbasso (Stefano era tout court un bassista elettrico, capace di cimentarsi anche allo stick bass). Una mistura fina, per dirla con John Patitucci. In qualche video ancora reperibile in rete, possiamo ammirare anche un meraviglioso ibrido di fingerstyle e slap nel quale Stefano era maestro.
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Modesto, umile, attento e mai sbruffone, Stefano fondò nel 1992, con il batterista Walter Calloni ed il pianista e tastierista Massimo Colombo il trio Linea C, efficace trio elettrico di jazz fusion con all'attivo tre album molto stimolanti e -c'è bisogno di dirlo?- ora fuori catalogo da tempo immemore.
La mia scoperta di Stefano Cerri risale al 1993, anno in cui acquistai, curioso di ascoltare il “bassista figlio di Franco Cerri” del quale mi avevano detto mirabilie, il primo disco dei Linea C, intitolato “Linea di confine”. Curiosità, il disco uscì per La Drogueria Di Drugolo (D.D.D.), casa discografica assolutamente atipica fondata nel 1979 dal leggendario barone Lando Lanni Della Quara. Label atipica perché famosa per i natali discografici di Eros Ramazzotti (Stefano Cerri ha suonato il basso elettrico in “Cuori agitati”), ma fautrice di una manciata di ottimi e dimenticatissimi lavori di ottimo jazz italiano (piace qui ricordare alla spicciolata gli album del contrabbassista Attilio Zanchi, del duo Mella/Allione, dei Nightflight, della sezione ritmica Enrico Ferraresi/Sergio Ceserani, del chitarrista Dario Faiella, dell'Amato Jazz Trio, di Rino Zurzolo del notevole pianista Luigi Bonafede, di Giancarlo Locatelli oltre che dei fiatisti Giancarlo Locatelli e Giulio Visibelli). |
Il tutto, con una sensibilità nettamente superiore alla media ed un'attitudine anche qui mista, tra straight jazz, fusion tinta di Oriente e Balcani, progressive alfa (ha suonato in un bello e dimenticato disco solista di Jon Anderson degli Yes, “Animation”, e Anderson era uno che di basso se ne intendeva, avendo suonato con Chris Squire e ricorso a Jack Bruce) e molto altro. Co-fondatore dei Crisalide, il gruppo che accompagnò per diverso tempo, in modo eccellente, l'ottimo Eugenio Finardi, Stefano Cerri era un musicista con spiccate doti esecutive e creative, e soprattutto con una componente pronunciata quanto necessaria: la curiosità. UNA PARZIALE RACCOLTA DELLE USCITE DELLA D.D.D. RECORDS
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Rimasi colpito dal sound discreto ma nitido di Stefano, un virtuoso che spesso amava nascondersi amabilmente ed elegantemente in armonici ed accordi, e mai avrei pensato che in quel disco Stefano suonasse anche un Pedulla, basso che ero abituato ad “attribuire” a Mark Egan, che ne cavava un suono più esteso e a volte troppo protagonistico (del resto Egan preferiva il fretless, Stefano il fretted). I Linea C potevano essere comparati, ma solo in alcuni tratti, ai Lingomania di Giammarco e Pietropaoli, ma meno nervosi nel sound e senza la chitarra di Umberto Fiorentino. Le soluzioni sonore di Colombo e la grande tecnica di Calloni, unite al top playing di Stefano, rendevano i Linea C un gruppo molto interessante e vario. Da lì ho iniziato a seguire Stefano Cerri e ad acquistare i dischi in cui suonava. Non ho avuto molto tempo a disposizione, considerato che Stefano è venuto a mancare, nel giro di pochi mesi, nel 2000, poco dopo aver appreso la notizia di avere un cancro.
Di sicuro Stefano Cerri è stato uno dei migliori bassisti elettrici italiani di tutti i tempi, rispettatissimo all'estero e non sempre valorizzato al meglio qui in Italia, paese che Stefano amava ma per il quale, nel classico dittico contrapposto tipico di molti artisti intelligenti, provava anche una certa insofferenza.
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Perché effettivamente è strano e anche colpevole, scendendo nello specifico, dover riconoscere che l'Italia vanta una tradizione bassistica di primissimo livello -tanto nel basso elettrico che nel contrabbasso-, ma non sembra ancora capace, eccetto alcuni buoni esempi di stampa specializzata attenta, di appassionati fedeli e di musicisti che sanno ascoltare gli altri musicisti (qui iniziano le dolenti note), di dedicare la giusta attenzione ai musicisti prima che ai fenomeni da baraccone.
Ancora oggi vige il malcostume di acquistare (ma direi più di scaricare) dischi di cantautori ed artisti italiani senza chiedersi neanche lontanamente chi ci suona dentro. Come se i volti che la televisione e i vari social ci sputano addosso ogni giorno facessero musica da soli, potendo contare, che so su orchestre di angeli e di cherubini.
Ancora oggi vige il malcostume di acquistare (ma direi più di scaricare) dischi di cantautori ed artisti italiani senza chiedersi neanche lontanamente chi ci suona dentro. Come se i volti che la televisione e i vari social ci sputano addosso ogni giorno facessero musica da soli, potendo contare, che so su orchestre di angeli e di cherubini.
“Dentro i dischi”, come diceva un mio cliente geometrico, ci suonano spesso musicisti con i fiocchi. Anche Stefano Cerri, come tanti altri grandi, è stato sessionman. Non mi stupii, giusto per fare un esempio semplice, che Cerri fosse al basso in un capolavoro indimenticabile come “Suicidio” di Faust'O, che come è notorio contava su basslines particolarmente propulsive, di matrice post-wave. Ed il sessionman, questa figura che la cultura pop sembra sempre celare allo sguardo, è anche colui che accompagna in tour sfiancanti gli artisti che ci piace ascoltare alla radio, mentre facciamo le pulizie o facciamo l'amore. Tanti bassisti sono stati anche arrangiatori e co-autori, si pensi a Beppe Quirici nascosto dalla gigantografia di Ivano Fossati, per esempio. |
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Di Stefano Cerri non possiamo scrivere “avrebbe potuto essere”, perché è stato a tutti gli effetti un grande, nel suo strumento e nella musica -possibilmente senza troppe categorizzazioni- in genere. Mi piacerebbe che la famigerata ed infame cecità discografica italiana si imbottisse di collirio e che per incanto ricomparissero in commercio i tre Linea C, alcuni lavori di Stefano col papà Franco, il suo progetto solista sui Beatles (Fab Four Strings) e anche che se ne parlasse di più, di questo musicista modello. |
Per adesso, mi limiterei, con discrezione e fermezza, ad invitare un po' tutti a non incentivare quella controproducente ossessione che si chiama esterofilia, talvolta più dannosa del tanto esecrato campanilismo. L'Italia può contare su moltissimi musicisti di valore, il jazz è comunque vivo, basta non voltare la faccia da un'altra parte. Stefano Cerri è stato uno dei migliori e la portata della sua sottile ed istrionica opera non andrebbe sperperata nella facile cancellazione della memoria.
Discografia consigliata:
Mario Rusca Trio – Reaction 1974 Franco Cerri – From Cathetus To Cicero 1975 Eraldo Volontè Quartet – Safari 1975 (basso elettrico; al contrabbasso Dodo Goya) Tullio De Piscopo – Vol. 2 1976 Roberto Colombo – Botte Da Orbi 1977 Eugenio Finardi – Blitz 1978 Faust'O – Suicidio 1978 Stratos/Pagani/Tofani – Rock And Roll Exhibition 1979 Eugenio Finardi – Roccando Rollando 1979 Alice – Capo Nord 1980 Franco Cerri – Effetto Alfa 1982 Jon Anderson – Animation 1982 Alice – Il Sole Nella Pioggia 1989 Franco Cerri – Cerri&Cerri 1993 Linea C – Linea Di Confine 1993 Linea C – Mappa Di Un Possibile Viaggiatore 1996 Linea C – Salti Ed Assalti 1999 Fabrizio De Andrè – In Concerto 1999 Paolo Pellegatti – Natura Mediterranea 1999 Franco Cerri – In Punta Di Cerri 2000 |
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Luca De Pasquale 2016
grafica a cura di Manuela Avino