CAFé PEARLS:)Sfidare i luoghi comuni sulla fusion.
Intervista a Marco Ricci
Sì, ci vuole del coraggio, della spericolatezza, ma anche tanta creatività e professionalità belle solide per far uscire oggi (e in Italia), nel 2016, un lavoro che si potrebbe definire “fusion”. Artefice di questo azzardo, peraltro riuscito benissimo, è il bassista e contrabbassista Marco Ricci, in compagnia di Daniele Comoglio (sassofoni), Pancho Ragonese (piano e tastiere), Martino Malacrida (batteria) e Pacho (batteria, percussioni e molto altro). Ricci, musicista intenso dal curriculum nutrito e di spessore, dotato di un proprio sound, è alla testa di questo quintetto che spazia con estrema mobilità tra atmosfere shorteriane ma anche à la Herbie Hancock elettrico e più dilatate atmosfere che, nella loro suggestione, sfuggono agilmente dai luoghi comuni attribuiti alla fusion.
Ma, appunto, per i Cafe Pearls il termine “fusion” sarebbe limitante, alla fine non aderente al progetto ed appropriato all’eclettismo che il quintetto mette in mostra, senza usare sterile muscolatura, negli otto episodi che compongono il loro primo lavoro. Perché più che di fusion si deve parlare di jazz elettrico, nella più nobile accezione; del resto, partendo da un punto ispirativo che si chiama Wayne Shorter le idee non possono essere che chiare e il modo di attuarle trasversale e fresco.
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In Italia siamo stati abituati ad associare al concetto di elettricità nel jazz un valore quasi negativo di partenza. Come se, ad esempio, la sola presenza del basso elettrico o di un Fender Rhodes rendesse tutto troppo leggero. Una concezione tetragona e pericolosamente reazionaria che i Cafe Pearls ribaltano a loro completo vantaggio, sfornando un debutto solo all’apparenza anacronistico. Perché di quest’anacronismo, oltre che con composizioni solide ed esecuzione impeccabile, i Cafe Pearls fanno un punto di forza, rinvigorendo e riproponendo un linguaggio che sono in molti a rimpiangere e a desiderarne un aggiornamento.
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Se l’incipit “Tetramela” annuncia con efficacia trame di electric jazz nervose e risolute, come in una felice commistione tra Lingomania, Return To Forever, Weather Report e Abstract Truth (progetto di breve vita ma notevole di Harry Pepl), l’album si dipana tra momenti di nitida luce shorteriana e anfratti più pensosi, dai fraseggi allungati e lattiginosi, in un unicum che alla fine lascia soddisfatti e ottimisti circa le prossime prove dei Cafe Pearls.
Nello specifico bassistico, Marco Ricci non rinuncia alla preponderante nitidezza del basso elettrico, ma senza mai pescare nella “letteratura bassistica leggera” che ha rovinato tanti lavori di eccellenti musicisti come Alain Caron o Stanley Clarke nella fase più mainstream. L’uso del basso in questo lavoro dei Cafe Pearls è potente, “conduttore”, ma con la grande qualità di non navigare in acque narcisistiche.
Dei Cafe Pearls e d’altro parliamo proprio con Marco Ricci, che ci spiega genesi e sviluppo di un’idea che ha fatto decisamente centro.
Nello specifico bassistico, Marco Ricci non rinuncia alla preponderante nitidezza del basso elettrico, ma senza mai pescare nella “letteratura bassistica leggera” che ha rovinato tanti lavori di eccellenti musicisti come Alain Caron o Stanley Clarke nella fase più mainstream. L’uso del basso in questo lavoro dei Cafe Pearls è potente, “conduttore”, ma con la grande qualità di non navigare in acque narcisistiche.
Dei Cafe Pearls e d’altro parliamo proprio con Marco Ricci, che ci spiega genesi e sviluppo di un’idea che ha fatto decisamente centro.
LDP: Marco, il progetto Cafe Pearls si ispira alle migliori pagine del jazz elettrico, ci racconti di come è nata l'idea e come si è sviluppata?
MR: L’idea era quella di creare l’opportunità di suonare brani dei dischi “Joy Rider”e “Phantom Navigator” di Wayne Shorter che adoro immensamente e che ascolto sempre con immutato interesse, come gran parte dei lavori Shorteriani, antichi e nuovi… Naturalmente sarebbe stata di difficile attuazione una coverband che suonasse tutti i brani di Joy Rider o di Phantom Navigator e il repertorio sarebbe comunque dovuto essere integrato da altri brani importanti, per esempio dei Weather Report o simili, rimanendo nel sound del jazz elettrico della metà degli anni settanta fino ai primi anni ‘80. Era proprio quella l’estetica che volevo vivere. Mi scontravo però con il fatto che una band fusion o di jazz elettrico suona sempre musica originale, quindi le cover risultano in contraddizione con la filosofia di base che ha sorretto le band che cavalcano questo genere musicale. Dato che mi piace comporre, ho colto la palla al balzo e scritto 8 brani per il quintetto. A dire il vero alcuni esistevano già e li ho riadattati, altri nascono ad hoc per i Cafe Pearls. |
Discografia selezionata del bassista e contrabbassista Marco Antonio Ricci, in qualità di leader, co-leader e collaboratore
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LDP: Il jazz “elettrico” in Italia non ha avuto, nei decenni passati, lo stesso riscontro che in altri paesi. Come lo spieghi e quali pensi siano stati gli esempi di musicisti italiani più originali e creativi in merito (penso ai Lingomania, tanti anni fa)?
MR: Credo che l’Italia sia un paese fortemente conservatore, almeno per quanto riguarda il jazz (ostile a John Coltrane che fu fischiato al Nazionale a Milano per esempio); Milano infatti, è stata l’unica città, insieme a Roma, con un interesse verso la fusion, che dalle altre realtà era guardata con distanza (penso a Genova e Bologna per esempio) e anche sufficienza. I gruppi storici che hanno lasciato un segno sono sicuramente gli Area (anche se non si tratta propriamente di fusion; i suoi componenti sono e sono stati importanti jazzisti oltre che musicisti), Lingomania, Giammarco quindi sicuramente, Gianluca Mosole…. Pippo Matino è stimatissimo musicista ed uno dei pochi che ripercorre quell’estetica jazz fusion. Oltralpe l’interesse e la creatività dei jazzisti è molto orientata su questo genere musicale; ma i miei ascolti ricadono quasi sempre sui classici (Weather Report, Zawinul Syndicate, Wayne Shorter, Head Hunters, Billy Cobham “Spectrum”, Chick Corea (“Return To Forever” e “Elektric Band”) |
LDP: Tu sei un bassista completo, estremamente a tuo agio sia con il basso elettrico che con il contrabbasso. Entrando nel merito di un vecchio dibattito sempre in voga, tu che li padroneggi entrambi li consideri... amici? Cugini? Fratelli? Due linguaggi totalmente differenti? Ci spieghi il tuo punto di vista?
MR: Il contrabbasso e il basso li considero strumenti affini, il secondo una modifica sintetica del primo, attualizzato alle specifiche esigenze dei bassisti di musica extracolta.
Studiare entrambi porta ricchezza, virtuosità e ispirazione, fino ad un punto in cui lo strumento è uno solo sostanzialmente…mi spiego, anche la chitarra e in genere gli strumenti a corda possono presentare caratteristiche molto distanti, pensiamo ad una chitarra classica e una elettrica… due approcci molto diversi ma in fondo con un cuore unico…
Ovviamente il mio è il punto di vista di un musicista che ama esprimersi in diversi generi musicali, dalla classica al pop passando per il jazz naturalmente, dove il padroneggiare più strumenti e diversi assetti è di primaria importanza.
MR: Il contrabbasso e il basso li considero strumenti affini, il secondo una modifica sintetica del primo, attualizzato alle specifiche esigenze dei bassisti di musica extracolta.
Studiare entrambi porta ricchezza, virtuosità e ispirazione, fino ad un punto in cui lo strumento è uno solo sostanzialmente…mi spiego, anche la chitarra e in genere gli strumenti a corda possono presentare caratteristiche molto distanti, pensiamo ad una chitarra classica e una elettrica… due approcci molto diversi ma in fondo con un cuore unico…
Ovviamente il mio è il punto di vista di un musicista che ama esprimersi in diversi generi musicali, dalla classica al pop passando per il jazz naturalmente, dove il padroneggiare più strumenti e diversi assetti è di primaria importanza.
LDP: Quali sono state le tue influenze principali rispetto al basso elettrico e al contrabbasso? MR: Molteplici….elencherei i più incisivi personaggi: Niels-Henning Ørsted Pedersen, Ray Brown, Eddie Gomez, Marc Johnson, Palle Danielsson, Dave Holland, Anders Jormin, John Patitucci, Charlie Haden, Gary Peacock.. Non manco di citare Paolino Dalla Porta e Stefano Dall’Ora, come Marco Micheli e Riccardo Fioravanti tra i colleghi italiani. Jaco Pastorius, Steve Swallow, James Jamerson per il basso elettrico….forse è il caso che mi fermi qui….:-) |
LDP: Parlando di basso elettrico, sappiamo che dopo Jaco c'è stata una pletora di imitatori, non sempre dotati di un approccio originale. Così come è accaduto poi con Marcus Miller, i supertecnici, etc. Qual è, a tuo avviso, lo scenario del basso elettrico oggi, soprattutto in chiave jazz?
MR: Trovo che il basso elettrico stia sempre di più trovando una sua identità jazzistica (specie all’estero, anche se abbiamo egregi rappresentanti del basso jazz, Dario Deidda, Federico Malaman e Alberto Miccichè per fare i primi nomi che mi vengono in mente…) dove nuove tecniche e nuovi modelli portano i moderni bassisti jazz a poter “sfidare” ad armi pari gli altri strumentisti jazz…oggi i livelli tecnici sono davvero notevoli, penso a Domenique Di Piazza, per citare un precursore della tecnica a dita e pollice… Quindi diventa arduo ma intrigante rimanere al passo con i tempi…io cerco di trovare una mia via espressiva più che altro nel fraseggio. LDP: Con questa domanda mi riallaccio ai Cafe Pearls. Se proprio volessimo scomodare una definizione, si potrebbe parlare anche di una sorta di jazz fusion (intesa come “fusione” nell'accezione colta del termine, nb) di spessore, come testimonia la natura scorrevole ma composita dei brani. In alcuni momenti è come se i Weather Report avessero incontrato gli Oregon, soprattutto nei brani più atmosferici. E' rischioso incidere oggi un disco di fusion intelligente? Se sì, perché? MR: Mi piace l’idea degli Oregon che incontrano i Weather….: infatti amo entrambi anche se sono due “zone geografiche” agli antipodi quasi… ma abbiamo bisogno di visitarle entrambe…È rischioso oggi incidere un cd fusion perché questi progetti non sono capiti, non ne viene colto il valore artistico e gli “addetti ai lavori” hanno poco interesse in questa direzione… LDP: Oltre ai tuoi numerosi progetti solistici, sei un indaffaratissimo sideman per i progetti più disparati ed eterogenei. Quali sono i tuoi progetti ed impegni per il prossimo futuro? Cafe Pearls hanno delle date live nei prossimi mesi? MR: Per ora con Cafe Pearls abbiamo un concerto a Chiasso il 31 di Luglio e non mancheremo di pubblicizzarlo, poi stiamo lavorando naturalmente per la prossima stagione. I progetti a cui prendo parte sono molteplici, vorrei citare tra i vari “The Thieves con Mike Mainieri” che ci vedrà protagonisti al Blue Note di Milano il 19 aprile, “Travels” con la vocalist Paola Zigoi e illustri colleghi che ci vedranno protagonisti al teatro Leonardo il 20 maggio, un progetto su Miles elettrico capitanato da Giovanni Falzone, la collaborazione con la “Monday Orchestra” e il quartetto “Cuartet” di Roberto Porroni con il quale quest’anno presentiamo in vari concerti un programma di musiche di Astor Piazzolla. Non manco di citare la collaborazione oramai ventennale con Paolo Jannacci nel suo quartetto e trio jazz, col quale fra poco uscirà un Cd dal titolo “Hard Playing”. |
LDP: Come consideri lo scenario “live” del jazz italiano? Molti musicisti si lamentano dell'assenza di spazi adeguati e di interesse e sostegno da parte delle istituzioni teoricamente apposite, mentre in Francia i jazzisti sono quasi sovvenzionati dallo stato. Qual è la tua opinione? MR: Mi trovo ahimè d’accordo con il coro di chi si lamenta di una situazione incancrenita su pochissimi fortunati nomi che si dividono l’ampio scenario dei palchi jazzistici e festival vari, lasciando alla grande massa le briciole… nessuno vuole più investire su nuovi talenti, giovani o anziani che siano, nessuno rischia più nulla…case discografiche, produttori, agenzie di booking, management vari, giornalisti… Cos’altro posso dire? Se alla base non c’è la volontà di ritornare almeno agli standard degli anni 70/80…non dico agli standard europei…difficilmente questa situazione potrà migliorare…noi naturalmente non ci perdiamo d’animo, lavorando sempre sullo studio e la ricerca di una propria identità artistica. |
LDP: Visto il tuo altissimo numero di incisioni potrebbe essere arduo deciderlo, ma a quali di queste sei più affezionato e quali sono state le esperienze che reputi ti abbiano arricchito di più professionalmente ed umanamente?
MR: Umanamente, senza dubbio l’esperienza dei Cafe Pearls, dove oltre che a collaboratori stimati e di altisssimo spessore artistico ho trovato degli amici e dei supporters….
Di tutti i lavori serbo un ottimo ricordo, e sono stato fortunato a trovarmi sempre con colleghi positivi, propositivi e simpatici: le risate son infatti un ingrediente fondamentale per la buona uscita di un lavoro discografico.
MR: Umanamente, senza dubbio l’esperienza dei Cafe Pearls, dove oltre che a collaboratori stimati e di altisssimo spessore artistico ho trovato degli amici e dei supporters….
Di tutti i lavori serbo un ottimo ricordo, e sono stato fortunato a trovarmi sempre con colleghi positivi, propositivi e simpatici: le risate son infatti un ingrediente fondamentale per la buona uscita di un lavoro discografico.
LDP: Mi parli della tua strumentazione?
MR: Ho diversi bassi elettrici, cito un Fender Jazz Bass anno 1976, un Fender Precision del 1978, Due bassi Sheckter di cui sono stato endorser, Un “Real Bass” fretless e altri ancora…posseggo 4 contrabbassi, uno del Liutaio Mattei, un Harsaan, un anonimo e uno antico anonimo anch’esso…e tre violoncelli…
LDP: Cosa stai ascoltando in questo periodo? C'è qualche lavoro che ti ha colpito particolarmente e che vorresti consigliare ai lettori?
MR: Ultimamente ascolto molte cose di svariata provenienza etnica e stilistica su YouTube, specie le perfomances live e, a dire il vero, sono poco aggiornato sulle ultimissime novità discografiche italiche ed estere; il mio consiglio è di non perdere di vista i grandi maestri classici tra gli ascolti quotidiani, proprio per non perdere di vista la matrice jazzistica e soprattutto il livello e la fattura delle composizioni e degli arrangiamenti…Poi nel jazz gli ascolti servono tutti, o meglio bisognerebbe nutrirsi di tutti i generi musicali per trovare giusta fonte ispirativa, altrimenti si rischia di cadere nella mera imitazione o nel mero esercizio estetico privo di reali contenuti artistici.
LDP: Grazie, Marco.
MR: Grazie a te buon lavoro!
MR: Ho diversi bassi elettrici, cito un Fender Jazz Bass anno 1976, un Fender Precision del 1978, Due bassi Sheckter di cui sono stato endorser, Un “Real Bass” fretless e altri ancora…posseggo 4 contrabbassi, uno del Liutaio Mattei, un Harsaan, un anonimo e uno antico anonimo anch’esso…e tre violoncelli…
LDP: Cosa stai ascoltando in questo periodo? C'è qualche lavoro che ti ha colpito particolarmente e che vorresti consigliare ai lettori?
MR: Ultimamente ascolto molte cose di svariata provenienza etnica e stilistica su YouTube, specie le perfomances live e, a dire il vero, sono poco aggiornato sulle ultimissime novità discografiche italiche ed estere; il mio consiglio è di non perdere di vista i grandi maestri classici tra gli ascolti quotidiani, proprio per non perdere di vista la matrice jazzistica e soprattutto il livello e la fattura delle composizioni e degli arrangiamenti…Poi nel jazz gli ascolti servono tutti, o meglio bisognerebbe nutrirsi di tutti i generi musicali per trovare giusta fonte ispirativa, altrimenti si rischia di cadere nella mera imitazione o nel mero esercizio estetico privo di reali contenuti artistici.
LDP: Grazie, Marco.
MR: Grazie a te buon lavoro!

Luca De Pasquale-Manuela Avino 2016